Pino Romualdi
Giuseppe Nettuno Romualdi (detto Pino) (Predappio, 24 luglio 1913 – Roma, 21 maggio 1988) è stato un politico e giornalista italiano. È stato vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano e tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, di cui fu eletto presidente, e parlamentare nazionale ed europeo.
Pino Romualdi nacque in una famiglia di Predappio, terzo di cinque figli di Valzania Romualdi e Maria Luigia Proli. Combatté nel 1935 nella guerra d’Etiopia come volontario nel battaglione universitario, congedandosi l’anno dopo con il grado di capitano. E proprio in Africa Orientale Italiana, nel 1939, ebbe il suo primo incarico politico di rilievo, come vicesegretario federale del Partito Nazionale Fascista a Gimma, in Etiopia.
Giornalista professionista, nel 1940 fu chiamato a dirigere il periodico forlivese Il Popolo di Romagna, ma poco dopo, allo scoppio della seconda guerra mondiale, si arruolò volontario e venne inviato sul fronte greco-albanese. Combatté in Albania e a Corfù.
L’8 settembre 1943 si trovava a Venezia e aderì alla Repubblica Sociale Italiana, diventando funzionario del Partito Fascista Repubblicano a Forlì. Fu delegato al Congresso di Verona nel novembre del 1943.
Fu segretario federale del partito a Parma, dall’aprile all’ottobre del 1944, in seguito Romualdi fu Vicesegretario Nazionale del PFR, incarico cui affiancò quello di responsabile amministrativo dei Fasci all’estero e oltremare. Per conto del governo della Repubblica Sociale Italiana nell’aprile del 1945 trattò la resa con le truppe anglo-americane; manterrà poi i legami sia con ambienti americani che con ambienti socialisti e di sinistra che attraverso una elaborata pratica di mediazione porteranno, grazie a Pino Romualdi, alla nascita del Neofascismo italiano.
È Romualdi a trattare direttamente con Togliatti, tramite intermediari, prima del famoso Referendum Repubblica/Monarchia (2 Giugno 1946). In cambio del sostegno alla Repubblica, Romualdi otterrà la Amnistia per i fascisti ancora prigionieri politici. Pierangelo Buttafuoco considera Romualdi il più raffinato e intelligente stratega della Destra nazionale sociale del dopoguerra. Romualdi si oppone da Neofascista ed attualista gentiliano alla storicizzazione del fascismo e mostra che il fascismo appartiene nonostante la sconfitta militare al tessuto della Comunità Nazionale. Romualdi definiva il MSI “il mio partito”.
Nel dicembre 1946, Romualdi fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano e nel 1948 fu il primo presidente del Centro Nazionale Sportivo Fiamma, che riuniva i giovani sotto una sigla che non era direttamente di partito.
Dal 1952 al 1965 fu vicesegretario del partito, e ancora dal 1970 al 1977. Nel 1953 venne eletto deputato alla Camera nelle liste del MSI e fu riconfermato sino al 1983. Nel 1956 fondò e diresse Il Popolo Italiano, quotidiano ufficiale del partito per un biennio. Nel 1957 fondò la rivista mensile “L’Italiano”.
Nel 1970 appoggiò la politica del neosegretario Almirante che puntava alla fusione con il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica e ad una politica di allargamento verso il centro parlamentare, dando vita al Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale. E proprio Destra Nazionale fu il nome della corrente che nel partito faceva capo a Romualdi, di cui erano esponenti tra gli altri Franco Petronio e Guido Lo Porto.
Dopo la scissione promossa nel dicembre 1976 dai parlamentari che diedero vita a Democrazia Nazionale, si consolidò nel partito la ‘diarchia’ Almirante-Romualdi, col primo nel ruolo di Segretario e leader carismatico e il secondo nel ruolo istituzionale di Presidente del Partito. Restò Presidente del partito fino al 1982.
Dal 1979 e fino al 1988 Romualdi fu anche parlamentare europeo per due legislature, e dal 1984 fu vicepresidente del gruppo delle Destre europee. Nel 1984, a sorpresa, lui e Almirante si recarono a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer, il segretario comunista prematuramente scomparso a Padova.
Nel 1983 venne eletto al Senato fino al settembre 1984, quando si dimise perché parlamentare europeo. Con la sua corrente Destra italiana, nel dicembre 1987 al congresso di Sorrento sostenne l’elezione a segretario del MSI di Gianfranco Fini. In quel periodo fu nominato direttore del Secolo d’Italia, ma lo restò per pochi mesi.
Romualdi morì infatti nel 1988, nello stesso giorno di Dino Grandi, e un giorno prima di Giorgio Almirante, a causa di un tumore. Alla camera ardente si presentarono anche i comunisti Nilde Iotti, presidente della Camera, e Giancarlo Pajetta. Per Giorgio Almirante e Pino Romualdi si svolsero esequie comuni a Roma, in piazza Navona. La sua salma riposa nel cimitero di Predappio, vicino alla cripta di Benito Mussolini.
Giorgio Almirante
Nell’immediato dopoguerra Giorgio Almirante fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, partito d’ispirazione neofascista, di cui fu segretario tra il 1947 ed il 1950 e, successivamente, tra il 1969 ed il 1987, appoggiando nel 1972 la fusione con gli esponenti monarchici che comportò la ridenominazione del partito in Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale.
Almirante è stato anche funzionario del regime durante la Repubblica Sociale Italiana, per la quale ricoprì la carica di capo di gabinetto al Ministero della cultura popolare, fu esponente di spicco della Prima Repubblica, mantenendo la carica di deputato dal 1948 alla sua morte.
Giorgio Almirante apparteneva a una famiglia di origine aristocratica molisana: gli Almirante erano stati dal 1691 i duchi di Cerza Piccola e molti suoi parenti erano attori e registi.
Studi ed esordi giornalistici
Parallelamente agli studi, compiuti a Torino presso il Liceo classico Vincenzo Gioberti, cominciò la sua carriera come cronista presso il quotidiano fascista Il Tevere. In quegli anni si iscrive al GUF di Roma e ne diviene fiduciario; sulle colonne del Tevere si occupò anche di pubblicizzare le attività e lo spirito dell’organizzazione giovanile fascista. Il 28 ottobre 1932 si apre la Mostra della Rivoluzione fascista in via Nazionale, in occasione del decennale della Marcia su Roma, e il giovane Almirante che avrà modo di montare come guardia d’onore nel 1933, ricorderà l’esperienza in un articolo pubblicato sul Tevere:
«Ritengo che entrare nella Mostra della Rivoluzione costituisca un onore che non va disprezzato; entrarvi, poi, vestendo la divisa di una organizzazione fascista, entrarvi per montare la Guardia d’Onore, è una fortuna che non deve essere gettata al vento. […] Giungono i militi a cui gli universitari debbono cedere il posto. Il cambio si svolge con perfetta disciplina, come tra soldati veterani. Molta gente ci guarda, in via Nazionale, e con un certo stupore. Se non portassimo i caratteristici berretti multicolori, stenterebbero a crederci, davvero, studenti. Studentì sì, ma anche fascisti, ecco il segreto di tanta disciplina»
In questi anni si solidifica in Almirante la fede fascista, animato da una profonda lealtà verso Mussolini e il Fascismo, che non rinnegherà mai per il resto della vita. Nel 1937 Almirante si laureò in lettere con una tesi sulla fortuna di Dante Alighieri nel Settecento italiano con l’italianista Vittorio Rossi. La collaborazione con Il Tevere proseguì nel tempo; ne divenne caporedattore e vi rimase legato fino alla chiusura avvenuta nel 1943. Svolse la sua attività professionale in questo periodo prevalentemente nell’ambito giornalistico e cinematografico.
La guerra
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Giorgio Almirante fu mandato come ufficiale di complemento in Sardegna, ma chiese e ottenne una promozione come corrispondente di guerra e partì per la Libia al seguito della Divisione “23 marzo” delle Camicie Nere, e partecipò alla campagna del Nordafrica. Venne decorato con la croce di guerra al valor militare per essere stato tra i primi a entrare a Sollum e Sidi Barrani, ma ricordando l’episodio non parlò mai di eroismo o di combattimenti, anzi, si schermì più volte. La sua testimonianza comparve sempre sul Tevere:
«Chi vi parla ha avuto la grande ventura di seguire in ogni sua fase, assieme ai corrispondenti di guerra degli altri giornali italiani, la marcia vittoriosa, di viverne con le truppe e fra le truppe la drammatica vicenda, di vederne fra i primissimi la fausta conclusione. A Sidi el Barrani siamo entrati alle 15 di oggi, al seguito di un generale di Divisione, di una centuria di Camicie Nere e di una pattuglia di bersaglieri motociclisti, estreme punte di avanguardia. Mai come oggi abbiamo sentito il privilegio della nostra professione di giornalisti.»
Nella RSI
Il 3 settembre del 1943 venne firmato l’armistizio di Cassibile reso noto l’8 settembre. Alla costituzione della Repubblica Sociale Italiana Giorgio Almirante vi aderì, arruolandosi nella Guardia Nazionale Repubblicana con il grado di Capomanipolo, equivalente a Tenente. Il 30 aprile 1944 Almirante fu nominato capo gabinetto del ministero della cultura popolare presieduto da Fernando Mezzasoma.
Il dopoguerra e la fondazione del MSI
Il 26 dicembre 1946 Almirante partecipò a Roma alla riunione costitutiva del Movimento Sociale Italiano (MSI) facendo parte della prima giunta esecutiva.
Il 15 giugno 1947 divenne Segretario della giunta esecutiva, dal ’48 Segretario Nazionale e mantenne la carica fino al gennaio 1950. Da Segretario del partito, Almirante si spese in modo notevole tanto da rimanere il ricordo di quando, non disdegnando viaggiare per l’intera penisola, dormiva in treni di terza classe («come un apostolo», secondo le parole di Assunta Almirante) e fondando sedi locali del MSI.
Alle elezioni il MSI ottenne un discreto successo, risultando eletti tre consiglieri comunali che poi appoggiarono l’elezione a sindaco del democristiano Salvatore Rebecchini, contrapposto al candidato delle sinistre.
Nel marzo 1948, in vista delle elezioni politiche Almirante tenne diversi comizi in giro per l’Italia ma la maggior parte di questi gli fu impedita per l’ostracismo degli interventi violenti di militanti comunisti. Solo nel sud la situazione risultò più tranquilla. Il clima politico portò anche ad altri candidati del MSI l’impedimento a effettuare comizi in pubblico. Ciononostante, Almirante riuscì ad essere eletto in Parlamento fin dalla prima legislatura (1948) e fu sempre rieletto alla Camera dei deputati.
Augusto De Marsanich
Augusto De Marsanich (Roma, 13 aprile 1893 – Roma, 10 febbraio 1973) è stato un politico e giornalista italiano, segretario dal 1950 al 1954 del Movimento Sociale Italiano.
Sottufficiale nella prima guerra mondiale. Di origini dalmate, suo padre era un funzionario statale che ebbe una facile ascesa alle più alte cariche durante il fascismo, tra le quali podestà di Viterbo. Come il padre, Augusto fu fin dal 1921 un fervente fascista. Sua sorella, Teresa Iginia “Gina” De Marsanich, sposata con Carlo Pincherle, di confessione ebraica, fu la madre di Alberto Moravia.
Eletto nel 1929 deputato con il PNF, insieme alla carriera politica intraprese nel 1927 anche quella di dirigente sindacale: fu infatti presidente della Confederazione fascista dei lavoratori del commercio (1929-1933). Giornalista, fu direttore de Il Lavoro fascista. Fu membro del Gran Consiglio del Fascismo dal maggio al dicembre 1929.
Fu rieletto alla Camera nel 1934, e quindi nominato sottosegretario al ministero delle comunicazioni (Poste e Telegrafi) nel gennaio 1935 al novembre 1939 e per la Marina mercantile fino al febbraio 1943. Dal 1939 fu consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu nominato presidente del Banco di Roma fino al 25 maggio 1944 e, successivamente, presidente dell’Alfa Romeo.
Nel dopoguerra, entrato nel Movimento Sociale Italiano poco dopo la sua costituzione, De Marsanich, durante il primo congresso del partito, del 1948, espresse la famosa dichiarazione:
“Non restaurare, non rinnegare”
Nel 1950 sostituì Giorgio Almirante alla segreteria del partito. Il 26-28 luglio 1952 fece celebrare a L’Aquila il 3º Congresso nazionale del Movimento Sociale Italiano. Fu deputato della Repubblica Italiana nel 1953, eletto nelle circoscrizioni di Roma e de L’Aquila.
Dal 10 ottobre 1954, per motivi di salute, gli subentrò come segretario del partito Arturo Michelini.
Dal 10 ottobre 1954 fu presidente del partito, fino al 1972, oltre a reggere per pochi mesi la presidenza onoraria dell’MSI-DN, la nuova formazione nata dall’unione tra MSI e monarchici.
Fu riconfermato alla Camera nel 1958 e nel 1963. Nel 1964, fu candidato dal suo partito alle elezioni per la presidenza della Repubblica, che videro l’elezione di Giuseppe Saragat, ottenendo un massimo di 41 voti, al 4º scrutinio. Nel 1968 fu eletto al Senato, dove restò fino al 1972.
Arturo Michelini
Arturo Michelini (Firenze, 17 febbraio 1909 – Roma, 15 giugno 1969) è stato un politico e giornalista italiano. Fu, dal 1948 fino alla morte, deputato del parlamento italiano per 5 legislature nelle file del Movimento Sociale Italiano, partito del quale fu tra i fondatori nel 1946 e segretario dal 1954 al 1969; fu anche direttore del Secolo d’Italia, organo di stampa ufficiale del partito.
Figlio di un avvocato iscritto al Partito Liberale, durante il fascismo prese parte alla guerra civile spagnola (1936-39) fra i fascisti italiani a sostegno del generale Francisco Franco e dello schieramento nazionalista. All’interno del Partito Nazionale Fascista arrivò a ricoprire la carica di vice-federale di Roma.
Aderente alla Repubblica Sociale Italiana, come fascista clandestino del gruppo “Onore”, dopo la Liberazione continuò a sostenere i reduci dell’esperienza di Salò.
Michelini fu nel ristretto gruppo dei fondatori del Movimento Sociale Italiano. Il partito fu anzi fondato, il 26 dicembre 1946, proprio nel suo studio romano (era di professione assicuratore), con Giacinto Trevisonno primo Segretario. Nel 1948 fu uno dei sei esponenti del MSI eletti alla Camera dei deputati.
Nei primi anni del partito, Michelini ne fu l’amministratore, collaborando con il segretario Augusto De Marsanich. La sua elezione a segretario nazionale, al congresso missino del 1954, si dovette certamente anche alla sua grande abilità nel procurare al partito i finanziamenti di cui esso aveva assoluto bisogno.
Egli rappresentava la corrente conservatorismo filo-borghese, legata ai ricordi del Ventennio più che a quelli, tragici e sanguinosi, del fascismo repubblicano (e al “fascismo delle origini” al quale esso s’ispirava), e desiderosa d’inserire il neofascismo nell’alveo della destra e facilitarne così l’entrata nel gioco politico e parlamentare italiano di quegli anni, caratterizzati dalla guerra fredda e dal timore, dentro e fuori d’Italia, d’una presa del potere da parte dei comunisti.
I riferimenti (a volte peraltro solo cercati, o sperati) di questa politica di “grande destra”, conservatrice ma non eversiva, erano: sul piano politico interno, i monarchici, i liberali e la Democrazia Cristiana (o comunque le correnti più conservatrici di questi ultimi due partiti); sul piano sociale, la borghesia, timorosa del comunismo e soprattutto diffidente nei confronti della democrazia fondata sul suffragio universale, la piccola borghesia metropolitana, i contadini del Mezzogiorno e la frazione cattolica del grande capitale, dal quale per l’appunto proveniva il sostegno economico che Michelini, come s’è detto, con le sue conoscenze (e soprattutto con la sua immagine rassicurante, per così dire spendibile), poteva garantire; nel campo internazionale, gli Stati Uniti d’America nella componente maccartista e anticomunista e il Patto Atlantico che aveva accettato il Portogallo fascista di Salazar. Arturo Michelini fu però in ottimi rapporti politici sia con l’Argentina di Perón, al punto che quando Eva Perón venne in visita ufficiale a Roma furono i guardaspalle di Michelini ad affiancarla[senza fonte], sia con la Spagna di Francisco Franco. Sia Perón sia Franco finanziarono il MSI micheliniano. Arturo Michelini aveva un punto di riferimento anche nel pontefice conservatore, anticomunista ma anche antiamericanista, Pio XII. Il segretario missino fu infatti in rapporti molto cordiali con Luigi Gedda (capo dell’Azione Cattolica), coi cardinali Siri e Ottaviani e col cosiddetto “partito romano” della Santa Sede. Al congresso di Milano il segretario si contrappose agli evoliani neopagani (Rauti, Graziani, De Felice) e ai laici ghibellini (Almirante, Pini), definendo il MSI un movimento nazionale, conservatore, non laicista e cattolico, in un paese di cattolici e di tradizione cattolica. La sinistra cattolica rappresentata da Massi sostenne Michelini; non così la componente rautiana neopagana, né quella neo-ghibellina almirantiana. La posizione sociale di Arturo Michelini fu antiliberista: il MSI micheliniano fu infatti finanziato dallo statalista Enrico Mattei.
Pino Rauti
Giuseppe Umberto Rauti, detto Pino (Cardinale, 19 novembre 1926 – Roma, 2 novembre 2012), è stato un politico e giornalista italiano, Segretario Nazionale del Movimento Sociale Italiano dal 1990 al 1991, del Movimento Sociale Fiamma Tricolore dal 1995 al 2002 e del Movimento Idea Sociale dal 2004 al 2012.
«Dopo la sconfitta del 1945 la propaganda antifascista non cessava di martellarci. Se si è mobilitato il mondo intero contro di noi, pensammo allora, vuol dire che siamo stati qualcosa di grande. E noi, che del fascismo in fondo sapevamo poco, trovammo così l’orgoglio e la volontà di continuare»
Pino Rauti
Giovanissimo volontario nella RSI fu inquadrato nella Guardia Nazionale Repubblicana. Dopo la prigionia nel 1947 si ritrovò a Roma dove militò sia nei FAR sia al Fronte giovanile del MSI (poi Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori). Presto entrò in polemica con la dirigenza del partito e il 17 luglio 1947, in un convegno intitolato “Non siamo socialisti”, contestò le tesi di coloro che vedevano nel fascismo una sorta di “socialismo nazionale” invece che un’ideologia che oltrepassava i classici significati di destra e sinistra. Il concetto, poi approfondito da Enzo Erra su “Rivolta Ideale”, costituì la base di partenza della concezione “spiritualista” che fu a lungo maggioritaria nel mondo giovanile missino. Spiega Rauti: “Non eravamo una forza conservatrice né un filone del socialismo: avevamo una filosofia specifica e originale, una nostra concezione della vita”.
Dal gennaio 1948 Rauti collaborò a La Sfida, la rivista dei giovani missini. La rivista fu fortemente influenzata dalle tesi del filosofo Massimo Scaligero che in seguito introdusse i giovani missini alla lettura dei testi di Julius Evola. Insieme con Enzo Erra, alla maggior parte del movimento giovanile, al I Congresso missino di Napoli Rauti si schierò in opposizione ai vecchi schieramenti contrapposti tra destra e sinistra o tra Unione Sovietica e Stati Uniti d’America, oppure tra socialismo e capitalismo. Su Rivolta Ideale pochi mesi prima scrisse:
«Il capitalismo e il socialismo sono nostri mortali nemici in quanto rappresentano una stessa concezione di idee della vita che è inconciliabile con quella che anima le nostre idee»
Pino Rauti