1863: Il brigantaggio e la legge Pica

Con il processo di unificazione, nelle regioni meridionali si diffuse ben presto un generale malcontento. Non solo la coscrizione obbligatoria che toglieva alle famiglie i lavoratori più importanti per l’attività nei campi, ma un regime di tassazione esoso e centralizzato fecero sì che dal basso e in modo spontaneo scoppiassero delle agitazioni popolari.

Si organizzarono così dei movimenti di protesta al cui interno confluirono non solo ribelli, ma anche ex soldati dello stato borbonico e contadini poveri.

Costoro chiamati briganti, dallo stato che intendeva reprimerli, si muovevano di villaggio in villaggio spesso commettendo saccheggi e omicidi nei confronti dei notabili del luogo. Lo stato unitario affrontò con estrema durezza il fenomeno del brigantaggio, ricorrendo all’esercito.

Nel 1863 fu inoltre emanata la legge Pica in base alla quale erano previsti i tribunali militari per giudicare i cosiddetti briganti e furono istituite come pena la fucilazione per chiunque opponesse resistenza all’autorità.

La repressione durissima segnò un netto distacco tra istituzioni e masse meridionali. Il governo compì infatti gli atti più violenti, ma non risolse i problemi di fondo del Mezzogiorno. Nel 1865 il brigantaggio era un fenomeno ormai sedato e controllato, il disagio e l’arretratezza di queste terre, invece, continuavano a essere il nodo irrisolto dell’unificazione nazionale.

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