Anatomia dell’ideologia e analisi delle meccaniche che hanno dato luogo e mantenuto acceso il cosiddetto “antisemitismo” sino ad oggi
Quando ci imbattiamo nelle indagini storiografiche, volte a determinare le motivazioni per cui, Adolf Hitler odiasse gli ebrei, ci troviamo quasi sempre d’innanzi ad analisi sterilmente volte ad ottenere il massimo effetto di demonizzazione fine a sé stesso, tralasciando in realtà ogni serio ed onesto tentativo, per ricostruire i passaggi mentali reali, che definirono poi la genesi e le autentiche caratteristiche del suo risentimento nel confronto degli ebrei stessi.
Questo lavoro, si prefigge il compito ambizioso di delineare le reali convinzioni, moventi ed elementi, che hanno portato il Führer alle conclusioni che determinarono una pagina certamente buia della nostra storia.
Per riuscire in tale operazione di giornalismo investigativo, è necessario però a tornare al 1913, quando Hitler si spostò a Vienna, dove venne a contatto con una società che aveva integrata in sé, già una consolidata ed influente comunità ebraica.
La visione negativa che Adolf Hitler maturò in merito al popolo ebraico, o meglio in merito alla classe dirigente dello stesso, prese forma proprio in quelli anni, osservandola nella società viennese, come entità collettiva presente ai vertici di diverse realtà nella Germania di allora, come il teatro, la musica, la politica, ma anche la prostituzione; il sentimento di Hitler verso quella élite ebraica, non era un’avversione irrazionale e gratuita, come viene generalmente dipinta. In realtà Hitler traeva le sue considerazioni osservando le scelte, i fini ed il modo di perseguirli, che caratterizzava l’agire di quello che era in tutto una Lobby e lo faceva ascoltandone i discorsi, valutando il loro modo di interagire con la società ed infine traendo delle conclusioni, che, a prescindere dal fattore morale, erano comunque basate su passaggi razionali e non generate da squilibri psicologici.
Antisemitismo: un termine capzioso, che vuole distrarre dal vero obbiettivo del diffuso sentimento ostile in oggetto, che è il Sionismo
Con antisemitismo, si intende l’odio per il popolo ebraico in generale, ma questa è, in realtà, una trappola, ed un arma semantica utilizzata da quella categoria sociale che oggi definiamo “ebrei sionisti” in quanto l’avversione che oggi viene identificata come antisemitismo, è in realtà qualcosa che riguarda la classe dirigente sionista e non la popolazione ebraica nel suo complesso, pertanto il termine corretto, in questo casso, al posto di antisemitismo, è antisionismo, in quanto l’élite sionista c’entra poco con l’ebreo medio, che è ermeticamente escluso da quei circoli e che, anzi, subisce tutto il despotismo dalle classi dirigenti sioniste, che tentano oltretutto, di farsi scudo tirando in mezzo il loro stesso popolo, pur di rendere odiose le critiche o i risentimenti di chi li osserva ed espone il loro operato. In realtà dunque, il popolo ebraico è solamente un’altra vittima. Basta pensare alla pandemia da Covid-19, per vedere che gli israeliani sono stati il popolo maggiormente vituperato ed umiliato dai loro stessi governanti, che arrivarono a mandar loro i soldati a casa per intimidirli e costringerli a vaccinarsi.
È in un certo senso comprensibile, che negli anni ‘20, per un tedesco fosse impossibile fare una distinzione semantica netta tra ebrei comuni e la loro classe dirigente, non esistendo ancora il termine sionista.
A conferma del fatto che Adolf Hitler non odiasse gli ebrei in quanto tali, ma solo gli ebrei sionisti, abbiamo come riprova il fatto che ne stimasse alcuni, come ad esempio Henry Ford, al punto da citarlo e ispirarsi a lui. Così Adolf Hitler si espresse ai microfoni della Radio:
“Henry Ford è un unico, grande uomo, Ford, che a dispetto degli ebrei (intendendo la loro classe dirigente), mantiene ancora la piena indipendenza”
Parlando nel 1931 a un giornalista del Detroit News, Hitler disse di considerare Ford come la sua “ispirazione”, spiegando così il motivo per cui teneva il ritratto a grandezza naturale di Ford accanto alla sua scrivania. Steven Watts ha scritto che Hitler “venerava” Ford, al punto di dichiarare:
“Farò del mio meglio per mettere in pratica le sue teorie in Germania”, e modellando il Maggiolino Volkswagen, l’auto del popolo”
Se facciamo un parallelismo tra l’antisemitismo contemporaneo, che come abbiamo visto, va ridefinito in antisionismo, e le ragioni che ispirarono Adolf Hitler, vediamo che non c’è molta differenza tra i concetti che troviamo nel Mein Kampf e quelli espressi da quel 24-26% di persone in tutto il mondo (1) che tuttora nutre (erroneamente) avversione e diffidenza verso il popolo ebraico, fermo restando che tale avversione generalizzata, è frutto di un fraintendimento indotto proprio dalla classe dirigente sionista, che sapendo di essere il vero e giusto obbiettivo delle critiche, si nasconde dietro il suo stesso popolo, allo scopo di stigmatizzare sommariamente chiunque chieda conto del loro agire.
La cosa certamente più sorprendente, in materia di antisemitismo (che poi abbiamo visto essere antisionismo), è che nessuno fa notare, come il popolo ebraico sia l’unico popolo ad essere oggetto di tanto odio. Diversi enti e associazioni, di fatto, raccolgono statistiche sull’antisemitismo, ma le presentano unicamente come se fosse l’indice di un problema sociale dovuto esclusivamente all’ignoranza, senza nemmeno considerare la possibilità di origini differenti, quando la ragione imporrebbe di approfondire le indagini, dal momento che tale riscontro negativo su di un popolo, da parte dell’opinione pubblica generale, intesa come in tutto il mondo, è solo sugli ebrei e oltre a ciò, questo non risulta essere un sentimento relegato a persone poco istruite, ma in realtà riguarda anche intellettuali, artisti, scienziati, che si sentono antisemiti (ripetiamo che “antisionisti sarebbe il termine corretto) e adducono, appunto, spiegazioni non molto diverse da quelle esposte da Adolf Hitler.
Tra i diversi filosofi, intellettuali ed artisti, ricordiamo Renzo De Felice, storico e accademico italiano, considerato il maggiore studioso del fascismo, anch’egli convintissimo antisemita, Antonio Spinosa, scrittore, giornalista e storico.
Gabriele De Rosa, pubblicò un trattato intitolato “La rivincita di Ario”, in cui sostiene la correlazione tra ebraismo e comunismo, binomio al quale si sarebbe opposto “l’asse Roma-Berlino”. Ugo D’ Andrea e Felice Chilanti, critici delle più varie discipline denunziano a più riprese, i danni che un certo tipo di ebraismo influente, infligge alla creazione artistica.
Francesco Santoliquido, definisce la musica moderna “un vero e proprio monopolio della razza ebraica”, mentre il critico letterario Francesco Biondolillo cerca di dimostrare che “il pericolo maggiore è nella narrativa”, dichiarando:
“Da Svevo, ebreo di tre cotte, a Moravia, ebreo di sei cotte, si va tessendo tutta una miserabile rete per pescare dal fondo limaccioso della società figure ripugnanti”
Già nel 1931, in visita a Giovanni Papini, era stato da lui accolto con le parole:
“Lei collabora alla rivista Solaria. I solariani sono o zoppi, o ebrei, o omosessuali. Lei è tutte e tre le cose”
Era una frase almeno in parte inesatta, avrebbe poi commentato il romanziere. Essa rientrava comunque nello stile dello scrittore fiorentino il cui romanzo Gog, edito proprio nel ‘ 31, si ispirava al più schietto e diretto “antisemitismo”, per quanto non ci stanchiamo di ripetere che antisionismo sia il termine corretto.
Giovanni Ansaldo dichiara, sulla Gazzetta del Popolo, che sono stati gli ebrei ad aggravare il conflitto mondiale: «i “rabbi” di Nuova York, spingendo l’America alla guerra, hanno seguito l’ istinto e la tradizione della loro razza» . Anche Mario Appelius si espresse molto nettamente al riguardo, defininendo Israele “traditore del mondo”.
Come possiamo facilmente appurare, il mondo intellettuale, non critica gli ebrei in quanto razza, ma ha sempre criticato, direttamente, la loro classe dirigente e la loro sistematica strategia di infiltrazione, sabotaggio e presa di potere alle spese della struttura, privata, istituzionale o governativa, presa di mira attraverso le loro tipiche scalate ostili, che vengono eseguite di persona o tramite individui che agiscono per loro conto, allo scopo di soddisfare il medesimo disegno.
Il Mein Kampf e la struttura di pensiero antisemitica che caratterizzava il pensiero hitleriano in merito agli ebrei (che oggi identificheremmo come sionisti)
Tenendo sempre a mente che, l’avversione maturata da Hitler era in realtà per la classe dirigente ebrea, scendiamo nel dettaglio, così da comprendere meglio i passaggi che hanno portato il Führer a certe conclusioni.
Questa è una nota presa dal Mein Kampf (3), dove Hitler scrisse alcuni tra i primi pensieri e riflessioni, che l’avrebbero poi portato a maturare il suo odio nei confronti degli ebrei.
“D’altra parte la pulizia — morale e non solo — di questo popolo era una storia a sé. Che qui non si trattava di amanti dell’acqua, lo si poteva vedere chiaramente già dal loro aspetto esteriore — e purtroppo molto spesso anche a occhi chiusi. Talvolta, dopo aver sentito l’odore di questi portatori di caffettano, mi sentivo male. A ciò si aggiungevano poi gli abiti sudici e l’aspetto poco eroico.
Il tutto non poteva certo risultare molto attraente; ma si veniva del tutto disgustati quando, improvvisamente, oltre alla sporcizia fisica si scoprivano le macchie morali del popolo eletto.
Nessun’altra cosa mi aveva dato, in breve tempo, più da pensare quanto il veder incrementare il tipo di attività lavorativa degli ebrei in determinati settori.
C’era mai forse un sudiciume, una spudoratezza in qualsivoglia forma — in particolare della vita culturale, in cui non era compartecipe almeno un ebreo?
Non appena s’incideva con attenzione un simile tumore, si trovava, come il verme nel corpo in putrefazione, e spesso completamente accecato dalla luce improvvisa, un piccolo ebreo”
E ancora:
“Fu un grande punto a sfavore che il mondo ebraico ricevette ai miei occhi, allorché feci la conoscenza della sua attività nella stampa, nell’arte, nella letteratura e nel teatro. Poiché finora tutte le untuose affermazioni potevano servire a poco o nulla. Per giungere al voltastomaco bastava osservare le colonne d’affissione dei manifesti per la promozione degli spettacoli, studiare i nomi — che lì venivano decantati — dei creatori spirituali di quelli orrendi lavori pasticciati e mal fatti per il cinematografo e per il teatro. Quella era pestilenza, una pestilenza spirituale — peggiore della morte nera del passato — con cui si infettava il popolo.
E in che gran quantità questo veleno veniva fabbricato e diffuso!
Naturalmente, tanto più basso è il livello spirituale e morale di un simile fabbricante d’arte, quanto più è illimitata la sua prolificità — fino a far sì che un soggetto del genere spruzzi, al pari di una centrifuga, la propria immondizia in faccia al resto dell’umanità. Inoltre, si pensi anche all’illimitatezza del loro numero; si pensi che, per un solo Goethe, la natura partorisce molto più facilmente decine di migliaia di simili scribacchini in pelliccia, per ora — al pari di portatori di bacilli — avvelenano l’anima nella maniera più ignobile.
Era terribile, ma non si poteva ignorare che proprio l’ebreo sembrava il prescelto della natura, e in numero sovrabbondante, per questo scopo disonorevole.
Il loro essere eletti si doveva forse ricercare in tale fatto?
Allora iniziai a esaminare con cura i nomi di tutti i creatori di simili immondi prodotti della vita artistica pubblica. Il risultato fu un esser sempre più arrabbiato per l’atteggiamento che avevo in precedenza nei confronti degli ebrei. Anche se il mio sentimento si fosse opposto per altre mille volte, la ragione doveva invece trarre le sue logiche conseguenze.
Il fatto che 9/10 di tutta l’immondizia letteraria, delle opere artistiche di cattivo gusto e delle idiozie teatrali fossero da addebitare a un popolo che rappresentava a malapena un centesimo di tutti gli abitanti del paese non si poteva facilmente negare; era proprio così.
Allora iniziai a esaminare da quei punti di vista anche la mia cara “stampa cosmopolita”.
Ma tanto più profondamente calavo la sonda, quanto più si restringeva l’oggetto della mia ammirazione di un tempo. Lo stile era sempre più insopportabile, il contenuto dovetti respingerlo come interiormente superficiale e piatto, l’oggettività dell’esposizione ora mi sembrava essere più una bugia piuttosto che un’onesta verità; gli autori erano, comunque, ebrei.
Migliaia di cose che in precedenza avevo visto a malapena, ora mi colpivano in maniera notevole; e altre, che in passato mi avevano dato da pensare, imparai a comprenderle e a capirle.
In quel momento vidi le idee liberali di questa stampa sotto un’altra luce, allora il suo tono dignitoso nel rispondere agli attacchi — così come il tacere di fronte agli stessi — mi si rivelò proprio come un trucco tanto astuto quanto vile.
Le loro critiche teatrali scritte in maniera raggiante riguardavano sempre gli autori giudei, mentre le loro stroncature non colpivano mai qualcuno di diverso dai Tedeschi.
Quel lieve dar stoccate contro Guglielmo II faceva comprendere — nella sua costanza — il suo metodo, come pure quel raccomandare la cultura e la civiltà francese. Il contenuto di poco gusto della novella diventava ora oscenità, e dalla lingua colsi il suono di un popolo straniero; ma il significato di tutto ciò era così palesemente nocivo per il germanesimo, che poteva essere soltanto qualcosa di intenzionale.
Ma chi aveva interesse in questo? Era soltanto un caso? Così divenni, lentamente, dubbioso.
L’evoluzione venne comunque accelerata da impressioni che ricevetti da un’altra serie di fatti. Questa era la generale concezione del costume e della morale che si poteva veder apertamente ostentata e messa in pratica da una gran parte del mondo giudaico”
Dai passaggi di sopra, si evince chiaramente, che Adolf Hitler aveva identificato nei vertici della comunità ebraica una gravissima minaccia, a fronte della sistematica influenza culturale e politica che si era convinto questi stessero esercitando, con l’intento deliberato di prendere il controllo della società attraverso un coordinamento ben visibile e riscontrabile, volto ad indebolire la struttura sociale stessa, per poi mutarla in qualcosa di cui questo establishment ebreo avrebbe potuto prendere il controllo, usurpando così la popolazione autoctona.
Il Führer aveva indentificato, a parer suo, una minaccia diretta alla struttura morale, ai valori e al modello sociale, che sarebbero stati visti dalla classe dirigente ebrea come impenetrabili per degli stranieri come loro, così diversi nell’aspetto e nel modo di concepire la società, specie perché il tipo di autorità che miravano imporre, non era benevolo né verso il cittadino né verso la Patria, ma era qualcosa che avrebbe replicato quello che oggi si vede in Israele, che è in pratica uno Stato militarizzato ed autoritario, che non ha in sé il fine di essere grande Paese per il proprio popolo, ma un Paese potente militarmente, per la soddisfazione dei suoi governanti, che è tutta un’altra cosa, specie se paragonato alla Germania nazista, che era invece improntata con grande successo allo sviluppo economico ed industriale, che rappresentarono poi il motivo per cui fino all’ultimo periodo, il popolo tedesco non smise di credere nel suo Führer.
Adolf Hitler vedeva perpetrata dunque, da parte dell’establishment ebreo, una lucida e sistematica strategia di corruzione dei costumi, della cultura e della società in generale, nonché una deliberata, perpetua e sempre crescente manipolazione ed inquinamento culturali, attraverso una stampa sediziosa e manipolativa. Le espressioni artistiche promosse dall’èlite ebrea attraverso i propri canali e strutture mediatiche, sarebbero state qualcosa di ben diverso dalle forme d’arte precedentemente conosciute, distinguendosi nell’ispirare una corruzione degli ideali, dei principi e dei valori universalmente riconosciuti da sempre, come fondanti ed essenziali per una società sicura e sana.
Gli ebrei e il controllo della prostituzione a Vienna
Vivendo a Vienna, Adolf Hitler poté apprendere come anche il mercato della prostituzione fosse per la maggior parte in mano a membri dirigenti della comunità ebraica e sempre nel Mein Kampf, possiamo leggere:
“La strada offriva di nuovo un insegnamento pratico talvolta davvero grave.
I rapporti del mondo ebraico con la prostituzione — e, ancora più, con la tratta delle donne — a Vienna si potevano studiare meglio che in qualsiasi altra città dell’Europa occidentale, a eccezione forse di alcune zone portuali della Francia meridionale. Se si percorrevano di sera le strade e i vicoli di Leopoldstadt, passo dopo passo si diventava, volenti o nolenti, testimoni di pratiche che erano rimaste celate alla maggior parte del popolo tedesco, fino a quando la guerra sul fronte orientale non fornì ai combattenti l’occasione di poterne vedere di simili, o per meglio dire, di doverli vedere.
Allorché in tal maniera, quando riconobbi per la prima volta nell’ebreo colui che dirigeva, con grande abilità negli affari, e in maniera gelida e al contempo spudorata, questa scandalosa azienda del vizio della grande città, mi corse un leggere brivido lungo la schiena”
Questa fase nella presa di consapevolezza di Hitler, in merito alla questione ebraica, precederà quella in cui intravederà i tentacoli politici ed istituzionali dell’establishment ebreo.
Il controllo della socialdemocrazia
Fu dopo che Adolf Hitler si capacitò del fatto che la classe dirigente della comunità ebraica fosse ai vertici delle produzioni artistiche e culturali, che cominciò a maturare dentro di sé, una certa visione d’insieme, che consisteva nel non aver più dubbi, nel vedere gli ebrei come una comunità intenta ad infiltrarsi nella società tedesca, per corromperla, indebolirla e prendere il sopravvento.
Da un punto di vista oggettivo, bisogna dire che tutto questo non è molto diverso da ciò che è già risaputo, e che ricalca esattamente quanto stesse succedendo all’epoca e quanto effettivamente si veda succedere anche oggi, forse ancor più di allora, osservando il posizionamento e l’agire dei membri di spicco della lobby sionista.
Quante volte vediamo, ancora oggi, sionisti o italiani amici di membri della lobby sionista, lavorare contro l’interesse nazionale o contro la religione cristiana?
Sarebbe stato effettivamente impossibile, per un popolo straniero, emigrato in un paese con una sua antica e radicata cultura, integrarsi al punto da occuparne posti di primo piano in ambito imprenditoriale, artistico, culturale ed istituzionale, senza in qualche modo scardinare l’assetto culturale e valoriale del Paese ospitante, essendo la radice culturale della Germania tanto diversa da quella ebraica e così lontana dal progetto di società promiscua e pseudo-libertaria che la classe dirigente ebrea avrebbe necessitato di imporre, per potere poi nel caos, assumerne le redini.
Al tempo stesso, nessuna cultura o sistema ideologico può essere affrontato di petto, semplicemente contrapponendo una prospettiva differente, specie se si vuole sostituire quello che c’è con qualcosa di peggiore, che quindi non porti dei vantaggi tangibili e verificabili da presentare per giustificare un cambio di direzione. In tale caso, l’unico sistema per ottenere un’adesione volontaria, sarebbe stata quella di lavorare sulla percezione, affinché la comunità o l’individuo cui ci si rivolgeva, avesse avuto la sensazione di abbandonare la strada precedente per qualcosa di meglio.
Quando Adof Hitler, giunse alla conclusione che la Lobby ebrea stesse effettuando una deliberata e sistematica manipolazione, finalizzata al sabotaggio del sistema di pensiero e credenze tedesche, con lo scopo finale di colonizzare “pacificamente” la Germania e l’Occidente, maturò queste riflessioni, che scrisse poi anche nel Mein Kampf:
“Allora non evitai più la discussione sulla questione ebraica; no, ora la cercavo. Ma, non appena imparai a cercare l’ebreo in tutte le tendenze della vita culturale e artistica e nelle sue varie espressioni, lo incontrai improvvisamente in un luogo in cui meno me lo sarei aspettato.
Nel momento in cui riconobbi l’ebreo quale capo della Socialdemocrazia, iniziò a cadermi dagli occhi l’ultima benda.
Così, una lunghissima lotta spirituale interiore trovò la propria conclusione.
A poco a poco venni a conoscenza del fatto che la stampa socialdemocratica era diretta prevalentemente da ebrei; ma non diedi alcun significato particolare a questa circostanza, dato che anche gli altri giornali si trovavano in quella stessa condizione. Una sola cosa era forse sorprendente: non c’era un solo giornale in cui si trovavano degli ebrei che potesse essere definito davvero nazionale, nel senso che la mia educazione e il mio modo di pensare davano a questa parola.
Così, in quel momento mi sforzai e tentai di leggere questo tipo di prodotti della stampa marxista, ma l’avversione crebbe all’infinito e in egual misura: perciò allora cercai anche di conoscere più da vicino i fabbricanti di queste scelleratezze concentrate.
Erano tutti, a partire dall’editore, puri ebrei.
Presi tutti gli opuscoli socialdemocratici che potevo in qualche maniera procurarmi e ricercai i nomi dei loro autori: ebrei. Mi ricordai i nomi di quasi tutti i capi; anch’essi erano per la maggior parte appartenenti al “popolo eletto”, sia che si trattasse di membri del Reichsrat o di segretari di sindacati, di presidenti delle organizzazioni o di agitatori di strada. Ne usciva sempre la stessa immagine sinistra.
I cognomi Austerlitz, David, Adler, Ellenbogen, eccetera, mi resteranno per sempre nella memoria. Una cosa mi era allora divenuta chiara: il partito, con i più piccoli rappresentanti del quale io avevo disputato per mesi la più appassionata lotta, si trovava — per quanto concerneva i suoi vertici — quasi esclusivamente nelle mani di un popolo straniero; poiché il fatto che l’ebreo non fosse un Tedesco l’avevo ormai già capito, con mia grande soddisfazione interiore.
Ma ora, per la prima volta, conoscevo appieno i seduttori del nostro popolo”
La dialettica ebraica
Leggendo le considerazioni di Adolf Hitler sugli ebrei, sembra di stare letteralmente d’innanzi alla rappresentazione biblica del Falso Profeta, che viene annunciato con le sembianze di un agnello, ma capace di un fare accattivante, persuasivo, in grado di suscitare empatia e buona volontà da parte degli altri, mentre porterebbe, nella sostanza, un messaggio menzognero e manipolativo, foriero di morte e distruzione.
A questo proposito, è difficile non ricordare l’emblema della Fabian Society, un lupo travestito da Agnello e guarda caso, tale circolo di intellettuali si ispira alle teorie del filosofo ebreo Thomas Davidson. La Fabian Society è un’associazione istituita a Londra nel 1884, ufficialmente (agnello) con lo scopo di elevare le classi lavoratrici per renderle idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione. In realtà (lupo) annovera tra i suoi membri tra i peggiori oppressori che abbiano mai funestato la scena politica, l’arte e l’imprenditoria, anche in epoca contemporanea. Tra gli attuali personaggi, vicini alla Fabian Society ricordiamo Mario Draghi e Roberto Speranza (2).
Nel Mein Kampf, Adolf Hitler continua a scrivere il resto della sua esperienza di osservazione della classe dirigente ebrea:
“Un solo anno del mio soggiorno viennese era bastato a fornirmi la convinzione che nessun operaio poteva essere talmente ostinato da non poter essere influenzato da un sapere migliore e da una spiegazione migliore. Lentamente, ero diventato un conoscitore della sua stessa dottrina e la utilizzavo come arma nella mia lotta per la mia intima convinzione.
Quasi sempre la vittoria stava dalla mia parte. Si doveva salvare la grande massa, anche a costo dei più pesanti sacrifici in tempo e pazienza. Tuttavia, un ebreo non lo si poteva mai salvare dal suo modo di pensare.
A quel tempo io ero abbastanza ingenuo da voler far capire loro la follia della loro dottrina, parlavo nella mia piccola cerchia fino a seccarmi la lingua e a diventare rauco, e presumevo che sarei riuscito a convincerli degli effetti nocivi della loro follia marxista, tuttavia ottenevo proprio l’esatto contrario. Sembrava anzi che una visione più chiara e precisa dell’effetto devastante delle teorie socialdemocratiche, e della loro realizzazione, servisse soltanto a rafforzare la loro determinazione.
Ma tanto più discutevo con loro, quanto più conoscevo la loro dialettica.
Dapprima essi contavano sulla stupidità del loro avversario, poi, se non trovavano più una via d’uscita, facevano loro stessi i finti tonti. Se tutto ciò non serviva, allora non capivano bene la questione oppure, se in difficoltà, passavano all’istante a un altro campo, su cui affermavano ovvietà la cui accettazione subito la riferivano però ad argomenti essenzialmente diversi, per poi, nuovamente affrontata la questione, svicolare e non sapere nulla di preciso. Così, dovunque si affrontava un simile apostolo, la mano stringeva del viscido muco; esso all’inizio colava, dividendosi, attraverso le dita, per poi riunirsi di nuovo nel momento successivo. Ma se si sconfiggeva uno di questi in maniera davvero schiacciante, tanto che egli, osservato dai presenti, non poteva far altro che annuire, e si credeva di aver fatto perlomeno un passo in avanti, il giorno seguente lo stupore era ancor più grande. Il Giudeo, infatti, non si ricordava più assolutamente nulla del giorno prima, proseguiva a raccontare le sue vecchie scemenze come se non fosse successo pressoché nulla e — indignato di essere interrogato a tal proposito — mostrava stupore, non era in grado di ricordarsi proprio nulla, tranne l’esattezza delle sue asserzioni che già il giorno prima era stata dimostrata.
Quante volte me ne restai lì pietrificato.
Non sí sapeva che cosa si dovesse ammirare di più, se la loro prontezza di parola o la loro arte della menzogna.
Iniziai a poco a poco a odiarli.
Tutto ciò aveva però una cosa di buono; poiché, proprio nella misura in cui mi si rivelarono i veri portatori della Socialdemocrazia — o, perlomeno i suoi propagatori – doveva crescere l’amore per il mio popolo. Chi, infatti, posto di fronte alla diabolica abilità di questi seduttori, poteva ancora maledire la sua infelice vittima? Quanto fu difficile persino per me riuscire a dominare la falsità dialettica di questa razza! Quanto vano era tuttavia un simile successo con uomini che distorcono nella bocca la verità, che rinnegano del tutto la parola appena pronunciata, per poi servirsene per sé stessi soltanto pochi minuti dopo!
No. Tanto più conoscevo l’ebreo, quanto più dovevo perdonare l’operaio”
Conclusioni
Hitler afferma nel Mein Kampf di non aver mai avuto inizialmente pregiudizi verso gli ebrei, al contrario, dapprincipio li considerava tedeschi come tutti gli altri, sebbene di credo e costumi chiaramente differenti. Risulta invece graduale, il processo attraverso cui, Adolf Hitler matura la consapevolezza secondo cui, i membri della classe dirigente della comunità ebrea non agirebbero e non si sentirebbero affatto tedeschi, ma si determinerebbero consapevolmente e deliberatamente, come un popolo a sé stante, con interessi completamente diversi da quelli dei tedeschi, ma mantenendo come copertura, una parvenza volutamente ingannevole, allo scopo di mischiarsi al popolo tedesco e indebolirlo, corrompendone la struttura sociale, attraverso il sabotaggio sistematico della cultura, dell’informazione e di ogni forma di espressione. Hitler scopre al contempo che l’élite ebraica è coinvolta in tutti gli affari sporchi e che controlla anche la prostituzione viennese.
Adolf Hitler nella sua permanenza a Vienna, scopre anche che gli ebrei controllano il partito socialdemocratico e attraverso questo i sindacati; così il cerchio viene definitivamente chiuso, quando Hitler si capacita che la crisi del 1929 partita da Wall Street ed arrivata in Germania, era l’ennesimo regalo dell’establishment ebreo, che speculava in borsa.
In quegli anni, tra i vari speculatori, oltre alle solite famiglie ebree Rotschild e Rockfeller, troviamo ad esempio Irving Kahn, nato da una famiglia ebrea polacca del clan Ashkenazi, il quale letteralmente raddoppiò il suo capitale durante la Grande depressione. Col suo gruppo di investimento, il Kahn Brothers Group’s, Kahn era arrivato a gestire, insieme ai suoi soci, oltre 950 milioni di dollari in fondi d’investimento.
Hitler capisce quindi che la Germania da lui tanto amata non potrà mai rifiorire finché ci sarà un potere così forte che vi si opporrà, condizionando il volere delle masse in maniera tanto efficace e sistematica.
Nel periodo viennese, quasi fosse stato destino, Hitler sviluppa le sue abilità oratorie confrontandosi proprio con gli ebrei della socialdemocrazia e dei sindacati. All’inizio è critico verso i lavoratori. Si chiede: “Questi sono ancora degni di appartenere a un grande popolo?” Ma in seguito comprende che con i suoi argomenti e la sua dialettica riesce comunque a portarli dalla sua parte.
Hitler mette a punto una strategia, comprendendo che a un potere così forte come quello delle lobby ebree, veicolato dalla stampa, dal partito socialdemocratico e dai sindacati, era necessario contrapporre un potere altrettanto forte, ma con idee superiori per spessore ideologico e politico.
Hitler prepara dunque messaggi di speranza per i lavoratori, legati al patriottismo e al senso di appartenenza ad un grande popolo, messaggi che facciano leva sull’orgoglio nazionale e sulla prospettiva concreta di una costruzione, collettiva, di un futuro migliore e di una Grande Germania, a patto di stabilire una coesione salda, pronta e consapevole.
Adolf Hitler riusciva a parlare direttamente al cuore della gente e ad evocare sentimenti potenti, universali e ben presenti nel suo popolo, sentimenti che erano solo sopiti, ma pronti in qualsiasi momento ad essere destati in tutta la loro forza.
A soli ventiquattro anni, Adolf Hitler aveva già conseguito una notevole maturità politica ed una capacità ragguardevole nell’arte oratoria. A tutti era chiaro che il popolo lo avrebbe seguito, così come aveva fatto in tanti dibattiti che lo avevano visto protagonista. Aveva inoltre individuato i suoi principali nemici ed ed i loro punti deboli; l’analisi della dialettica degli ebrei con cui si confrontava ed il continuo scontro con loro, gli avevano dato modo di plasmare la sua figura d’innanzi all’opinione pubblica.
Nei cinque anni trascorsi a Vienna, l’odio per la classe dirigente ebrea, o meglio per il loro potere corruttivo e predatorio, si era ormai radicato in Adolf Hitler, così come la convinzione che la futura Germania dovesse essere Judenfrei per potersi salvare dal declino. La crisi del 1929 e la consapevolezza che la finanza predatoria ebraica fosse in grado di sottomettere e devastare economicamente qualsiasi paese al mondo, altro non fece che sedimentare irreversibilmente la sua convinzione:
“Non c’era alcuna possibilità di integrare gli ebrei nella futura Nazione Tedesca” Fu la conclusione del Führer.
Di certo questa è stata tra le ragioni che spinsero Hitler all’esecrabile decisione di deportare la popolazione ebraica, considerata un pericolo, in quanto la struttura di potere dell’establishment ebreo, si estendeva a migliaia di uomini e donne che venivano utilizzati per occupare i posti chiave della società. Sapendo che questi vassalli si sarebbero nascosti anche in mezzo alle persone comuni, i rastrellamenti riguardavano, purtroppo, tutte le classi sociali.
In Germania e in diverse regioni d’ Europa, il Reich Nazista sequestrò i beni degli ebrei, colpendo ferocemente anche esponenti del potere che effettivamente stava combattendo, tanto che il ramo austriaco dei Rothschild fu completamente espropriato dai nazisti dopo l’Anschluss. Il Barone Luois de Rothschild fu arrestato in quanto ebreo e liberato dietro pagamento di un riscatto di 21 milioni di Dollari. Ancora oggi questo è ritenuto il più grande riscatto della storia.
Il palazzo dei Rothschild a Vienna fu distrutto e le proprietà confiscate.
Adolf Hitler stava dunque tentando, di “disarmare” il potere dell’establishment ebreo, colpendolo nelle finanze.
Curioso notare che il palazzo che si vede nel film Eyes Wide Shut, che si chiama Mentmore Towers, storicamente conosciuto come “Mentmore”, costruito tra il 1852 ed il 1854 nel villaggio di Mentmore in Buckinghamshire, sia dei Rotschild. Nella scena principale del film, avviene un rituale in cui viene recitata una messa cristiana con le parole pronunciate al contrario, il che rappresenta simbolicamente una bestemmia, attuata attraverso un’inversione deliberata della sacralità rituale.
Per constatare quanto sia vero che se si vuole capire chi comanda, basti capire chi non si possa criticare, ci si accorge subito che niente che si avvicini al mondo ebraico in qualsiasi modo, posa essere anche solo fatto oggetto di perplessità, senza dover subire accuse di antisemitismo. Questo avviene proprio perché non viene tollerato alcun attacco a niente che si avvicini tanto al centro di maggior potere, che è quello sionista, il quale si fa appunto scudo col popolo ebraico in generale, per rendere odioso ogni attacco in sua direzione. Chiaramente, per difendersi da attacchi feroci e difficili da contestare con la ragione, si utilizza l’emotività, stigmatizzando le critiche o anche le osservazioni più innocue, evocando lo sterminio nazista e accusando di nazi-fascismo e di antisemitismo chi abbia mosso l’obiezione in questione.
Gli ebrei sionisti hanno messo a punto ogni genere di strategia da dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra leggi, libri, film, ed ogni tipo di iniziativa trasversale per difendersi da un odio che è razionale, oggettivamente diffusissimo e che riguarda unicamente loro. Nessuno odia i protestanti, gli ortodossi, i cristiani, i buddisti o chiunque altro, ma quell’antisemitismo, che poi è un fraintendimento culturale, che in verità abbiamo visto debba essere ridefinito in antisionismo per essere indirizzato ai giusti destinatari, come già menzionato, coinvolge il 24-26% della popolazione mondiale.
Alcune fonti, pur se impossibili da confermare, porterebbero a ritenere, intrecciando alcuni avvenimenti, che Adolf Hitler, resosi conto di non poter debellare la classe dirigente ebrea, specie economicamente, deve aver accordato con la stessa una strategia affinché gli ebrei avessero la propria Nazione. Ecco come nacque Israele.
Emblematico è di fatti il termine “Olocausto”, utilizzato per definire lo sterminio degli ebrei ad opera dei nazisti. Non a caso, il termine Olocausto, nel greco antico indicava un tipo di sacrificio religioso in cui il corpo della vittima animale, dopo l’uccisione, veniva completamente bruciato, così che nessuna parte commestibile potesse più essere consumata. Questo rito religioso era praticato nelle epoche antica e arcaica, sia nel mondo greco sia in quello ebraico, ed effettivamente richiama molto coerentemente un collegamento tra lo sterminio e l’istituzione dello Stato di Israele.
Da questa ricostruzione, possiamo apprendere che il popolo ebreo è essenzialmente vittima della sua stessa classe dirigente, che lo disprezza profondamente e lo ritiene come una cosa di loro proprietà, e questo avviene perché in realtà, l’escatologia ebraica conservatrice non contempla l’esistenza dell’anima, quindi questi “capi bastone” non danno valore alla vita, se non in termini di opportunità terrene. Proprio questa visione essenzialmente anti-spirituale, che mette la spiritualità stessa alla stregua di una filosofia qualunque, più che di qualcosa che riconosca una sacralità alla vita in quanto tale, li porta a vivere secondo queste scelte intrinsecamente perverse.
Altrettanto illuminante è considerare che sempre la classe dirigente ebrea, che oggi definiamo ebrei sionisti, è quella derivata dall’originario establishment che in antichità ha crocifisso Gesù Cristo e questo risulta assai coerente con la struttura di credenze che caratterizzarono l’ebraismo del tempo, che oggi arriva a noi come ebraismo conservatore, il quale è contraddistinto da un approccio essenzialmente materialistico in merito alla vita e non di fede in una vita dopo la morte, e questo spiega il conflitto insanabile tra la visione cristiana e quella ebraica del tempo. Modello di persecuzione che oggi si ripropone con la persecuzione dei cristiani e il tentativo di umiliare e distruggere i simboli della fede cristiana, sia attraverso il mondo del cinema che attraverso le varie iniziative, spesso provenienti dalle comunità LGBTQ+, finanziate dai soliti potentati dell’establishment sionista. Gesù Cristo ed il cristianesimo, rappresentano una visione antropologica diametralmente opposta a quella degli ebrei sionisti, i cui valori sono basati sul materialismo, sul dominio nei confronti del prossimo e sul controllo attraverso l’inganno. Non a caso nel Vangelo Gesù scaccia i mercanti dal tempio, che è un chiaro riferimento a quella classe dirigente ebraica.
Come non mai, oggi è evidente quanto l’ebraismo sionista sia saldamente ed articolatamente infiltrato nella nostra società. È altrettanto cristallino il suo modus operandi, che opera da sempre per una disgregazione e corruzione dei Paesi occidentali, minandone le radici storiche ed identitarie, senza tralasciare la sostituzione etnica, perpetrata attraverso la legalizzazione ed istituzionalizzazione dell’immigrazione selvaggia. Eppure ancora oggi, nonostante almeno il 25% della popolazione mondiale ed europea abbia compreso appieno la minaccia, vi è ancora, almeno al momento, una certa titubanza ad affrontare questo “Re Nudo” che ci si pone d’innanzi. Pur con le città in condizioni irriconoscibili ed i centri storici infestati da una popolazione immigrata chiaramente allo sbando, che bivacca in aree di passaggio, chiedendo l’elemosina, importunando o spacciando droga, ancora deve formarsi del tutto quella consapevolezza ferma, unitaria e risolta, che dovrà portare a prendere consapevolezza del problema, senza pretendere di rimanere con la testa nella sabbia.
Questo ci porta d’innanzi ad un paradosso antropologico decisivo in questo tempo e luogo, ovvero che, indipendentemente dalla gravità delle conseguenze ragionevolmente prevedibili, una società che vive nel benessere o che comunque è convinta di vivere in una condizione di benessere, sarà sempre portata, istintivamente, ad abbracciare politiche ed ideologie di apertura, di tolleranza, di accettazione, di inclusione, e di tutto ciò che le allontani dallo scontro e dall’amarezza, che sono una forma di dolore, a cui le masse non si sottopongono mai spontaneamente, se pensano (o si illudono) di poterselo permettere. Questo avviene indipendentemente dalla convenienza o dal bisogno oggettivo e tale atteggiamento psicologico permane fino a quando nell’individuo maturi la consapevolezza che, la durezza dello scontro con un mondo che va nella direzione opposta ai suoi interessi, sia accettabile rispetto alle conseguenze derivanti dall’astenersi dalla lotta. Ovvero, fino a quando non si ha concreta percezione di non aver niente da perdere, semplicemente, la maggior parte delle persone, cercherà di evitare attriti, fastidi e dolore il più possibile.
(1) Studio statistico pubblicato da ADL GLOBAL https://global100.adl.org/map
(2) La Fabian Society e la Pandemia – Come si arriva alla Dittatura (2021), di Davide Rossi, ed. Arianna Editrice
(3) Mein Kampf, di Adolf Hitler, pubblicato nel 1925 dalla Franz Eher Nachfolger GmbH
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